Sinossi:
“Imputato, dica alla Corte perché l'avete fatto”. “Quel
prete prendeva i ragazzi dalla strada, ci martellava con la
sua parola, ci rompeva le scatole”. Era un uomo solo,
disarmato. Per fermarlo lo chiamarono padre, perché era un
sacerdote. L’assassino, 28 anni, 13 omicidi alle spalle,
teneva in pugno una pistola col silenziatore. Un altro,
mentendo, disse: “È una rapina”. L’uomo disse solo tre
parole: “Me lo aspettavo”. Sorrise, come faceva sempre con
tutti. E fu l’ultimo dei suoi sorrisi. Chiamato nel 1990 dal
vescovo di Palermo a occuparsi della parrocchia di un
quartiere alle porte della città, Brancaccio, in meno di due
anni riesce a costruire un Centro di accoglienza e
coadiuvato da un gruppetto di volontari, giorno dopo giorno
raccoglie dalla strada e dalla perdizione decine di piccoli
innocenti. Presto capisce che per incidere in quel tessuto
disgregato bisogna fare e dare di più. Significava
scontrarsi contro l’inerzia e l’incomprensione della
burocrazia locale: per avere una rete fognaria, una scuola,
un distretto sanitario, tutte cose che a Brancaccio mancano
da sempre. Inevitabilmente il suo percorso lo porta a
entrare in conflitto con gli interessi del potere mafioso,
che da decenni domina la vita quotidiana del quartiere. Sono
gli anni delle stragi di Capaci e di via d’Amelio, dove
nello spazio di pochi mesi perdono la vita i giudici Falcone
e Borsellino insieme a tanti altri. Proprio gli stessi clan
che organizzano le stragi si trovano di fronte quel prete
indomabile, quel parroco che insegna ai ragazzi a credere in
un mondo diverso, a non sottostare alla sopraffazione. Lo
avvertono: bruciano le case dei suoi collaboratori,
incendiano la chiesa; lo minacciano, cercano di fare il
vuoto attorno a lui, ma la sua fede non cede alle
intimidazioni. E allora per toglierlo di mezzo non resta che
la strada della viltà estrema. Questa, è la storia di don
Giuseppe Puglisi, ricostruita dopo dieci anni di ricerche,
testimonianze, confidenze. Fu assassinato il 15 settembre
1993, il giorno del suo compleanno, perché sottraendo i
bambini alla strada, li sottraeva al reclutamento dei boss,
che nel rione di Brancaccio, dove era nato, hanno creato da
tempo immemorabile un vero e proprio vivaio di manovalanza
criminale. Ma se don Puglisi fu giudicato da Cosa Nostra una
fastidiosa presenza della quale liberarsi brutalmente, il
suo assassinio fu in realtà l’epilogo di una lunga catena di
incomprensioni e silenzi da parte di troppi, persino degli
intellettuali “schierati”, abituati a esaltare gli eroi di
cartapesta e a dimenticare gli umili che lavorano in
silenzio. Questa storia si potrebbe definire un caso di
forzata solitudine. La solitudine dell’uomo che lotta per i
suoi ideali, determinato sino al sacrificio. “L’uomo che
sparava dritto”, lo chiamavano i suoi parrocchiani, tanto
alieno al compromesso era il suo credo. “Non sono un eroe”,
diceva di sé, ben sapendo che per la sua attività era stato
condannato a morte. Ai bambini, al tentativo di offrire loro
la possibilità di crescere in un mondo migliore, ha dedicato
la sua vita don Puglisi, per gli amici e i seguaci soltanto
Pino, oggi in cammino verso il processo di beatificazione in
quanto martire: citato più volte dal Papa, additato ad
esempio da un numero crescente di giovani, credenti e non
credenti. Dal suo insegnamento, emerge una ineguagliabile
lezione d’amore per la giustizia e la non violenza, insieme
a un forte messaggio pedagogico. Ma non sono solo questi i
motivi che possono spingere un regista a realizzare un film
su una materia tanto incandescente. C’è, in fondo, il
desiderio di portare alla platea più vasta possibile e non
solo italiana la conoscenza di una vicenda che ci coinvolge
tutti. Per un desiderio forse impossibile di risarcimento
abbiamo scelto di raccontarla. Perché raccontare
l’impossibile è la forza e insieme la grande sfida del
cinema.