Ci sono due lui che si amano. C'è una lei che si mette in
mezzo, quasi per caso, e ne manda a rotoli il menage.
Triangolo amoroso dei meno classici questo orchestrato da
Hella Joof, stimata autrice di teatro, qui alla sua prima
prova per il grande schermo. Con risultati felici per quanto
ci riguarda.
Inorridendo al pensiero di cosa sarebbe potuto uscire se una
simile storia fosse stata progettata nei nostri confini (non
tutti avrebbero avuto la soave levità del Benvenuti di Belle
al bar), dobbiamo ammettere che Una lei tra di noi è
un'opera garbata e gentile, delicata e ironica, quasi mai
banale, qua e la spruzzata di humor nero e corrosivo
sarcasmo.
La Joof, bravissima nel dirigere gli attori, un pò meno
nelle scelte stilistiche di messa in scena, sa parlare con
sincerità di amori e ripicche, gelosie e tradimenti, crisi
di identità sia morali che sessuali.
Strizzando l'occhio alle sapide battute del Woody Allen
prima maniera, immergendo la pellicola nei pastosi colori di
morbidi interni, sapendo cogliere scorci del paesaggio
danese abbracciato da un inverno freddo freddo, tocca tasti
di profonda malinconia e scalda il cuore in più di una
occasione.
I tre protagonisti (bravissimi, con una menzione particolare
per Troels Liby) sanno dare un quadro esatto della
schermaglia morosa, prodigandosi con perfetta adesione al
gioco di frasi sussurrate, di segreti e bugie, di promesse e
compromessi che si stringono e si attorcigliano sempre di
più nel dipanarsi della vicenda.
Prima dello scioglimento ci sarà tempo per un grave
incidente stradale, per nodi che dovranno essere sciolti,
per la nascita di bebè, per urla e schiaffi, per lacrime e
sorrisi.
Se il film fosse durato una ventina di minuti di meno
sarebbe stato perfetto.
Purtroppo la Joof si lascia prendere la mano e per
accontentare chissà chi o chissà cosa, ci regala un finale
irritante nel suo programmatico buonismo, facendo inabissare
il film in un mare di melassa.
Cavalli bianchi che corrono verso aeroporti lontani, hostess
a cui manca solo una bacchetta magica per tramutarsi in
fatine buone, aerei che fanno dietrofront e riportano gli
infelici verso l'eterna felicità.
Un vero peccato. Perché le mezzetinte, il sapore dolce
amaro, la consapevolezza che l'amore non è una cosa
meravigliosa si sposavano alla perfezione con la dura
visione della storia narrata. Il vissuto si tramuta in
favola cercando la magia a tutti i costi e la vera magia si
perde per strada. Le coppie si ricompongono ma va in
frantumi la poesia. Un neo vistoso che stona nell'insieme,
posticcio e francamente fuori luogo. Una brusca inversione
di tendenza che comunque non inficia nella valutazione
positiva d'insieme.
Anche se non mancano le figure stereotipate (l'amico
sciupafemmine, le lesbiche intellettualodi, lo psicanalista
pazzoide e frustrato, il contorno di coppie omo trendy e
piagnucolose, amabili e civettuole) né le battute a doppio e
triplo senso, l'esordio registico della Joof fa ben sperare
e segna un altro punto a favore della cinematografia a
tematica omosessuale. Per una volta tanto raffigurata senza
isterismi, maledettismi e erotismi sfrenati. Ma in maniera
delicata e sensibile. Come uno dei tanti abbracci tra i due
protagonisti.
di Cesare Paris - Kwcinema