BASTA sfogliare una delle tante riviste italiane destinate
alle pre-adolescenti: la "girl culture" ce l'abbiamo in
casa. E' quel modo di vedere le cose preconfezionato dai
venditori di merci, che costringe le ragazzine a essere
istericamente all'altezza delle aspettative di tutti: per
farne, attraverso i grimaldelli di "sesso" e "shopping",
delle docili consumatrici. Thirteen-Tredici anni è il primo
film a rappresentare il fenomeno (dilagato, più che
dilagante) e lo fa adottando lo schema del racconto di (tras)formazione.
La tredicenne Tracy vive ancora come una bimba, circondata
di Barbie e orsetti di pelouche. Per avviarne la metamorfosi
in teen-ager ribelle è sufficiente un gesto d'attenzione di
Evie, tipetto carismatico e sexy considerato "la ragazza più
calda della scuola". Tracy cambia linguaggio, modo di
vestire, atteggiamento; salta le lezioni, sperimenta la
droga, compie piccoli furti, mentre le sue quotazioni presso
i coetanei maschi salgono alle stelle. Mamma Holly Hunter
non sa più che pesci pigliare. Pian piano si scopre che la
mitica Evie, in realtà, è una ragazza sola, in sofferenza
d'amore materno.
Catherine Hardwicke ha il merito di abbordare l'agomento in
maniera realistica, tenendosi alla larga tanto dal moralismo
quanto dal pietismo. Ed è anche brava a mostrare l'essenza
della "girl-culture": con la sua cinepresa mobile, nervosa e
ansiosa, come le giovanissime interpreti (patetici cloni di
Britney Spears e J-Lo.) che accompagna lungo le false vie
per il paradiso delle fanciulle.
Roberto Nepoti - La Repubblica 22/11/2003