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CAST
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Michael Caine, Rade Serbedzija, Brendan Fraser, Do Thi
Hai Yen, Holmes Osborne, Tzi Ma, Ferdinand Hoang
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PREMI
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RECENSIONI
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Saigon, 1952. Piazza Garnier. Esterno giorno. Sotto la
veranda dell'Hotel Continental un uomo sulla sessantina sta
consumando un tranquillo aperitivo pomeridiano. Due donne
sedute a un tavolo vicino si affrettano ad andare via.
Velocemente quasi senza averne la percezione lo sguardo
dell'uomo si volta ad indagare la piazza scorgendo strani
movimenti intorno ad una macchina parcheggiata poco
distante. La camera si sposta rapida dagli occhi cerulei
dell'uomo alla figura di un vietnamita che si allontana di
corsa dalla vettura. Improvvisamente un'esplosione rompe
quell'attimo sospeso, una seconda ribadisce il gesto
terroristico e lascia intorno solo polvere e detriti. Di
corsa l'uomo si alza, scavalca quasi indifferente i corpi
riversi sulla strada, ed entra in un palazzo vicino alla
ricerca di un amico. E' frastornato, non sembra capire bene
lo spettacolo che si trova di fronte. Esce dallo stabile e
l'orrore finalmente si mostra per quello che è: corpi
straziati, menomati. Una madre copre per pudore il volto del
figlio morente, una moglie chiede aiuto per il marito in fin
di vita. Montaggio serrato, ripetitivo, la macchina da presa
passa da un corpo all'altro, senza sosta, stringe sulle
carni squartate dall'esplosione e non risparmia nulla alla
nostra vista.
E' la scena più scioccante e cruenta di The Quiet American,
l'ultimo lungometraggio di Phillip Noyce e il sessantenne
dagli occhi cerulei è Michael Caine in un' interpretazione
magistrale che gli è già valsa la candidatura all'Oscar come
miglio attore protagonista.
Tratto da un fortunato best seller di Graham Green (sempre
perfetto per gli adattamenti del cinema hollywoodiano), già
portato sugli schermi da Joseph L.Mankiewicz nel 1957 che
aveva edulcorato il tono di polemica antiamericana, il film
di Noyce racconta la presa di coscienza del corrispondente
del Times Thomas Fowler (Michael Caine) da anni in Indocina
per riferire dell'insurrezione nord vietnamita contro il
governo francese. Deciso a mantenere un tono di superiore
distacco dai fatti di cui è testimone, Fowler entra in
contatto con il giovane idealista Alden Pyle (Brendan Fraser),
un cooperante americano di cui diventa ben presto amico. Le
cose si complicheranno quando entrambi si innamoreranno di
Phuong (Do Thi Hai Yen), concubina di Fowler, che vorrebbe
fuggire dal suo paese e sposare un occidentale ma condurrà i
due verso un pericoloso triangolo amoroso in cui nessuno si
mostrerà per quello che veramente è.
Dotato della magistrale fotografia di Christopher Doyle
(Hong Kong Express, Fallen Angels, In the Mood for Love) che
trasforma ogni immagine in un affresco luminoso pieno di
ombre, The Quiet American, è un film duro, a tratti
scioccante, un film di guerra senza guerra e che utilizza il
conflitto come sponda retorica per un indagine approfondita
della coscienza americana. Un film sul Vietnam prima
dell'arrivo americano, prima che la carneficina di un
esercito destinato alla sconfitta si trasformasse in un
'sporca guerra', che mostra il contesto di sensualità e
lusso che regolava la vita di un paese attaccato ai propri
riti e alle proprie tradizioni. Un film su un amore forse
impossibile tra personaggi di culture diverse fagocitati da
eventi più grandi di loro.
Noyce non è mai stato un regista dalla forte personalità. I
suoi film (Ore 10: calma piatta, Giochi di potere, Il
collezionista di ossa) sono sempre stati caratterizzati da
una notevole capacità di dominare i mezzi a disposizione e
la riprova dell'abilità 'artigiana' che Hollywood riesce
ancora ad esprimere. Qui, mettendosi a disposizione del
romanzo di Greene realizza il suo lavoro più convincente.
Non eccede in virtuosismi, raggela i sentimenti e le
sensazioni fino al parossismo, dirige gli attori con mano
sicura e porta a compimento le intuizioni che lo scrittore
inglese aveva solo suggerito.
L'OSS (la CIA di quegli anni) diventa il motore di una
sopraffazione militare e culturale; il popolo vietnamita la
vittima sacrificale di una vocazione imperialista. Ridotta
la voce narrante ad una sorta di commento fuori testo, la
Storia diventa cronaca da raccontare filtrata dallo sguardo
di un giornalista alieno da tutto. L'occhio di Fowler
diventa distante, indifferente. Le stragi, i delitti, la
deriva suggerita dei sensi, tutto appare mummificato, come
se nulla dovesse realmente accadere. Persino la tenzone
amorosa ha i toni dello scontro tra due manichini, come
fosse una battaglia elegante e ineluttabile che i due devono
obbligatoriamente combattere. La sconfitta fa parte del
gioco così come l'insperata vendetta. La Storia è sotto ai
nostri occhi ma non ci riguarda fino in fondo. Eppure
lentamente il germe di una coscienza critica si insinua
nelle pieghe della vicenda. Si fa strada attraverso la
reiterazione delle stragi, la scoperta progressiva della
verità, l'attentato nella piazza centrale della capitale che
obbliga ognuno a prendere posizione.
Il Vietnam appare nella sua travolgente vitalità come un
posto contagioso, il luogo delle coscienze torpide,
dell'illusione e della speranza. Greene condannava
l'imperialismo americano quanto quello francese. Condannava
la falsa retorica della propaganda, l'idealismo infantile
che muoveva gli eserciti, l'incapacità di capire un popolo
che si voleva solo sottomettere. Il melodramma si mescola
alla Storia e ne diventa parte inscindibile. I personaggi
diventano silhouette dotate di anima.
Il film era stato bloccato negli Stati Uniti dopo la strage
delle Twins per paura di ferire l'orgoglio americano. Ora,
uscito dalla quarantena, The Quiet American quell'orgoglio
rischia di metterlo nuovamente a dura prova, sempre che ce
ne sia ancora bisogno. Costringe implacabilmente a prendere
posizione e riapre una ferita mai rimarginata nella
coscienza dei gendarmi del nuovo ordine mondiale.
di Massimo Galimberti - Kwcinema
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