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Catherine Deneuve, Romane Bohringer, Nils Hugon, Elodie Bouchez


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Se dovessimo prendere alla lettera le vicende raccontate nella fiaba di Pollicino, il quadro che ne scaturirebbe sarebbe fortemente sconfortante.
Una povera famiglia di contadini, numerosa come solo le povere famiglie di contadini sono solite essere; cinque figli, cinque bocche da sfamare, una guerra alle porte che acuisce lo stato di povertà del nucleo famigliare, due genitori senza cuore (se abbandonare i propri cinque figli nella foresta perché non si sa cosa dare loro da mangiare possa essere considerato un gesto crudele invece che un'azione dettata da una tragica disperazione); soldataglie ostili che depredano la regione ed infine un orco che si lecca i baffi al pensiero di sbocconcellarsi quei cinque teneri bocconcini capitati per caso nella sua dimora.
Insomma, ce n'è abbastanza per una allarmata chiamata al telefono azzurro.
Per fortuna, ci sorreggono le moderne interpretazioni psicoanalitiche che ci parlano di conflitto generazionale, del primato dell'intuizione e della creatività infantile, della affermazione della diversità e della tolleranza verso di essa, dell'inconscio e subconscio che i personaggi sogliono simboleggiare. Certo è che, pur a voler privilegiare questa lettura paradigmatica, la triste storia di Pollicino rimane una di quelle che eviterei accuratamente di raccontare a mio figlio.
Peraltro, il film di Olivier Dahan, - l'altro precedente cinematografico è rappresentato dal film C'era una volta Pollicino di Michel Boisrond del 1972 - sembra attenersi con rigore alla trama della favola di Perrault aggiungendovi solo qualche elemento come la guerra, a giustificare lo stato di profonda indigenza dei contadini e inventando il personaggio di Rose, una delle cinque figlie dell'orco che a differenza delle sue sorelle non aspira ad un futuro di orchessa. Il resto è molto attinente all'opera del narratore francese - non nuovo a fiabe tristi, ricche di figli diseredati e maltrattati, basti pensare a Cenerentola o al Gatto con gli stivali - così assistiamo, con profonda costernazione, allo smarrirsi dei cinque fratellini nella foresta abitata da lupi famelici ed altre pericolose bestie, all'incontro con il terrifico orco (Dominique Hulin, una parte in Strada senza ritorno di Samuel Fuller) alle imprese del volitivo Pollicino (il piccolo Nils Hugon, un faccino piccino piccino con un musetto furbetto) dapprima denigrato dai fratelli maggiori, è l'ultimo di cinque figli, ma poi osannato da questi come loro eroe e salvatore. Tutto questo raccontato dalla mano felice del regista francese, capace di fotografare con raro gusto policromo le bellissime scenografie di Michel Barthelemy, già scenografo in Sulle mie labbra, che incastonano i personaggi e gli eventi in raffinati quadretti che ricordano molto le illustrazioni ottocentesche dei libri per l'infanzia.

di Daniele Belmonte
- Kwcinema


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