Nel 1988 Katsuhiro Otomo e il suo 'Akira' ruppero il
singolare stato di isolamento in cui il cinema di animazione
giapponese aveva vissuto i suoi primi vent'anni di vita. Il
pubblico occidentale, storicamente abituato ad accostare i
'cartoni animati' all'intrattenimento per bambini, si trovò
di colpo sbalzato sulle strade di una Neo-Tokyo corrotta e
disperata, alle prese con gang di giovani teppisti
tossicomani e mutanti dotati di devastanti poteri psichici.
Gli eroi di carta divennero all'improvviso esseri vibranti,
fatti di carne e sangue, mentre le loro storie, con lo
stesso Otomo, con Mamoru Oshii (Ghost in the Shell) e con il
maestro Miyazaki (uno su tutti, La Principessa Mononoke),
attraversarono negli anni seguenti le atrocità della storia
e i temi più duri della nostra quotidianità, per poi tornare
puntualmente a puntare il dito sulle incertezze del futuro.
Metropolis è tutto questo e molto di più, un titanico tour
de force visivo e allo stesso tempo un'esperienza narrativa
che racchiude in se l'intera storia del cinema d'animazione
giapponese.
Tratto da un manga di Osamu Tezuka datato 1949, Metropolis è
ambientato in una futuristica città-stato in cui gli uomini
hanno abbandonato i lavori più umili e pericolosi per
affidarli ai robot, schiavi indispensabili al corretto
funzionamento della società e al contempo capro espiatorio
delle frustrazioni dei suoi cittadini. In quello che viene
presentato come il trionfo dell'ingegno umano tutto è
perfettamente sincronizzato, ogni cosa procede con meccanica
precisione verso il proprio perfetto compimento mentre al
centro di tutto, fra grattacieli che raggiungono le nuvole e
monumenti rinascimentali, una torre ribattezzata Ziggurrat
si staglia maestosa verso il cielo. Eppure mentre gli
altoparlanti diffondono senza sosta messaggi di ottimismo,
la parte più povera della popolazione è stata costretta a
trasferirsi nelle baraccopoli sotterranee delle zone
inferiori e le macchine, creature disperate dai tratti
marcatamente retrò, sono pronte ad autodistruggersi pur di
sfuggire al proprio triste destino.
La storia ha inizio quando Shunsaku Ban, investigatore
giapponese tanto buffo quanto intelligente, arriva in città
accompagnato dal nipote Kenichi per rintracciare un
misterioso trafficante d'organi, lo scienziato pazzo Lawton.
I due, accompagnati dal poliziotto robot Pero, si trovano
però ben presto invischiati in un complotto mirato a
sovvertire lo stato della megalopoli e porre sul trono dello
Ziggurrat l'enigmatico 'essere perfetto', un adroide dalle
sembianze di bambino nel cui petto batte un cuore
artificiale. L'indagine si trasforma così in una sorta di
viaggio allucinante nelle stesse viscere meccaniche di
Metropolis, una discesa agli inferi che, fra rivoluzioni,
colpi di stato e brutali assassini, li porterà al confronto
finale con l'inarrivabile duca Red, superuomo privo di ogni
morale e principale artefice di questa utopia
totalitaristica.
Il film è indubbiamente un'esperienza visiva impressionante:
al di là dei momenti di computer graphic, che non sempre
risultano all'altezza degli stupefacenti fondali disegnati a
mano, ogni scena si presenta come un piccolo capolavoro in
grado di lasciare senza parole. La gamma di colori con cui
gli autori danno vita a Metropolis è senza precedenti, la
cura dei dettagli maniacale, gli effetti di luce e lo stile
utilizzato per dipingere la città-fortezza, vera
protagonista del lungometraggio, è una sintesi raffinata
delle precedenti esperienze di Otomo (che di Metropolis ha
curato la sceneggiatura) e dello stesso Tezuka. Lo stile
narrativo è quello dei manga, i celebri fumetti made in
Japan, suddiviso in piccoli blocchi che fanno apparire il
tutto come un insieme di brevi episodi, ma la regia, curata
dal veterano Rintaro, è accattivante e a tratti evocativa,
come quando Tima, candido punto d'incontro fra uomo e
macchina, osserva dall'alto di un tetto le baracche della
zona sotterranea.
Oltre a riassumere molti dei temi fondamentali del manga
giapponese - la fusione uomo/macchina, il difficile rapporto
con il diverso fino all'inevitabile quanto prevedibile
catastrofe - appare subito evidente come Rintaro e Otomo
abbiano ripreso molti dei motivi e delle caratteristiche
maggiormente affrontate nell'ambito di un certo tipo di
fantascienza: c'è l'atmosfera opprimente e ci sono i
labirinti urbani di Dark City, c'è la megalopoli monolitica
e corrotta di Dredd, c'è soprattutto il dilemma relativo
alla ricerca di una propria identità legato agli androidi e
all'intelligenza artificiale che riporta alle creature
artificiali di Blade Runner (pellicola cui questo Metropolis
deve moltissimo), al bimbo robot di A.I. o all'Hal di 2001
Odissea nello Spazio. Senza contare tra l'altro il
Metropolis originale di Fritz Lang, immediatamente
riconducibile a quest'opera nonostante lo stesso Tezuka
abbia dichiarato di non averne mai visto una versione
integrale.
A condire il tutto c'è poi un'azzeccatissima colonna sonora,
un mix di jazz e swing in puro stile anni '30 che accompagna
anche i momenti più drammatici, nonché un doppiaggio
finalmente all'altezza che contribuisce notevolmente ad
approfondire lo spessore dei personaggi. Al di là dei
possibili paragoni con Akira e con il meno conosciuto Robot
Carnival, opera prima di Otomo cui visivamente il film deve
moltissimo, e superate alcune imprecisioni nello svolgersi
degli eventi, Metropolis si presenta decisamente come uno
dei film di animazione più interessanti degli ultimi anni,
senza dubbio il migliore dai tempi de La Principessa
Mononoke.
di Carlo Mogiani - Kw cinema