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Geraldine McEwan, Annie Marie Duff, Eileen Walsh
 


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Leone d'oro

59a Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia


     RECENSIONI


VENEZIA- Un'istituzione totalitaria poco conosciuta, rimossa, passata sotto silenzio. Un incubo presente solo nei ricordi di chi è sopravvissuto, nella memoria delle torture fisiche e psicologìche subìte. Gìà: perchè ì conventi ìrlandesì delle Maddalene, diffusissimi nei decenni del dopoguerra, erano dei veri e propri lager al femminile. Luoghi di prigionia per le paria de11a rigida morale cattolica in vigore net Paese: giovani madri nubili, ragazze stuprate, o troppo vivaci, o con problemi mentali.
Un esercito di mig1ìaia di donne trattate come oggetti da annientare (proprio come nei più feroci regimi islamici di adesso), perfino nel "rivoluzionari '60-'70. Anomala resa possibile dalla crudeltà de1le suore che li gestivano, dalla connivenza delle gerarchie ecclesiastiche e dall'indifferenza del mondo esterno. Ma ora, a guardare il veto, arriva Magdalene, film del1o scozzese Peter Mullan in concorso alla Mostra di "Venezia". Accolto da un lungo applauso al1a proiezione per addetti ai 1avori, cosi come un'ovazione ha salutato l'arrivo del regista, oggi, all'incontro con i cronisti: "Sono cresciuto in una famiglia cattolica", racconta lui, "mio padre era alcolista. A Londra nel '78 ho fatto volontariato, e ho conosciuto una suora Irlandese, la donna più cattiva che si possa immaginare, maltrattava la gente in maniera incredibile. Per me lei incarnava il lato crudele della Chiesa, quello che considera la compassione una debolezza".
E in effetti, per la quattro ragazze protagoniste del film, di compassione, da parte delle religiose, ce ne è ben poca. Siamo ne11964: Bernadette (Nora-Jane Noone) viene rinchiusa in un convento perché attraente e civettuola; Rose (Dorothy Duffy) viene spedita lì dal padre, dopo aver dato in adozione la figlia nata fuori dal matrimonio; Margaret (Anne-Mane Duff) ha invece il torto, per i genitori, di essere stata stuprata dal cugino. Le tre ragazze arrivano nella struttura gestita dal1a sadica e spietata sorel1a Bridget (Geraldine McEwan), che approfitta del lavoro delle "ospiti" per far soldi con un servizio di lavanderia. Mentre vengono tollerati i soprusi delle altre suore e del prete, che costringe a rapporti sessuali una povera ragazza non troppo ntelligente (Mary Murray). Per 1ei, purtroppo, non ci sarà salvezza. Per 1e altre tre, dopo quattro anni da incubo, una via di fuga arriverà.
Una stona non troppo diversa da un'autentica ex "Maddalena", Phyllis McMahon, presente al lido oggi insieme a Mullan e a parte del cast. Nel film ha una piccola parte, quella di suor Augusta, ma è stata preziosa per il regista, vista la sua esperienza personale: ..Ho 1avorato in un convento per un anno.., racconta la donna, ..poi la mia famiglia mi ha aiutato a scappare. Li ho visto de1le tremende crudeltà. Ma la colpa è del1a società, che ha permesso che tutto questo accadesse, che segregava queste ragazze. E intanto la gente si girava dall'altra parte".
Mullan invece, da buon amico e allievo di Ken Loach (è stato anche il protagonista dl My name is Joe), vede le cose in maniera più radica1e, sottolineando 1e responsab1lità della Chiesa cattolica: istituzione che, a suo avviso, "dovrebbe riconoscere il male che ha fatto nel Ventesimo secolo". E, per rincarare la dose, rivela l'ostracismo incontrato in Irlanda: "Appena partiti con questo progetto decidemmo di mettere un annuncio sul giornale lrish independent, dicendo che cercavamo sopravvissute ai conventi delle Madda1ene. Ma Il giornale rifiutò di pubblicar1o. Per ciò sceg1iemmo di girare in Scozia, dove non avremmo corso pericoli o subito atti di sabotaggio".
C'è poi un altro aspetto su cui Mullan si dichiara debitore di Loach: il modo di dirigere il cast, formato soprattutto da esordienti irlandesi scelte dopo una lunga selezione. "Io la penso come Ken", dichiara, "e cioè che sul set il 98% del1a resa degli attori è dovuto alla fiducia in se stessi, e solo il 2% alla recitazione vera e propria. E sempre seguendo il metodo di Ken ho girato la storia in sequenza, per facilitare il difficile viaggio emotivo delle protagoniste". E, vista 1'intensità delle loro interpretazioni, il "teorema" Loach è davvero efficace.

CLAUDIA MORGOGLIONE, LA REPUBBLICA - 31/08/2002
 


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