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CAST
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Birol Ünel, Sibel Kekilli, Catrin Striebeck, Güven Kıraç,
Meltem Cumbul, Cem Akin, Aysel Iscan, Demir Gökgöl, Stefan
Gebelhoff, Hermann Lause, Adam Bousdoukos, Ralph Misske,
Mehmet Kurtulus
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PREMI
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Orso d'oro al Festival di Berlino
Leopardo di Bronzo al Festival di Locarno
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RECENSIONI
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Cahit (Birol Ünel), alcolizzato, depresso, autodistruttivo,
incontra Sibel (Sibel Kekilli) in una sala d'attesa di un
ospedale. Entrambi scampati ad un tentato suicidio, macchina
contro muro lui, lametta e vene lei, scappano dall'ospedale
per andare a divertirsi in giro. Lei vuole sposarlo per
togliersi di mezzo la famiglia turca che la opprime e non le
permette di godersi la vita. Lui non aspira a nulla che vada
oltre la lattina di birra o il tiro di cocaina e le dice di
no. Sibel si ritaglia le vene; Cahit, turco-tedesco come
lei, decide di sposarla visto che non ha altro da fare.
Finge con i genitori, regge il gioco al banchetto nuziale,
la porta a vivere a casa sua permettendole di ripulirla e di
pagare metà affitto. La prima notte di nozze Sibel le chiede
della sua ex moglie. Lui la caccia di casa e lei va a far
l'amore con un barman. Cahit torna dalla sua concubina
parrucchiera, che poi trova lavoro alla moglie. La storia si
intreccia man mano che l'amore, rifiutato da entrambi,
nasce, cresce e fa morire un pretendente occasionale che
ingelosisce troppo Cahit. Il maschio in galera. La femmina
ormai innamorata, nella polvere. Ripudiata dalla famiglia
scappa ad Istambul dalla zia. Trova lavoro come cameriera,
ma non è quello che vuole. Scrive al marito il suo amore, ma
si perde nei bassifondi della città fino a farsi stuprare
ubriaca e pestare a sangue da tre balordi volontariamente
provocati. Cahit esce di prigione e va subito a cercarla in
Turchia. Lei si è rifatta una vita, ha una bambina, un
compagno, ma si concede due giorni per consumare il
matrimonio, prima di illudere il marito che tutto possa
tornare com'era, e che tra loro possa esserci un futuro.
Fatih Akin racconta una storia molto legata alle sue origini
turche. Attraverso lo sviluppo degli eventi percorre a
ritroso il viaggio dei suoi antenati; distrugge i loro
valori; li annaffia con tanto sangue; sconta la pena di aver
perso il senso delle cose per ritrovarlo nell'amore e nelle
contraddizioni di Istambul, luogo sacro ricco di fede e
perdizione. Nell'autodistruzione e nel bisogno di vita dei
suoi protagonisti, il regista trova il bello della
rinascita. Offre, a tutti i suoi personaggi, un'occasione
per riscattare le proprie scelte, per cambiare idea su se
stessi e sugli altri, per aprire una porta a chi vive sulla
stessa terra. Il sangue scorre. Fatih Akin con la cinepresa
ricuce le ferite inferte ai suoi protagonisti. I due attori
assecondano la storia portando addirittura il regista a
cambiargli il finale. La loro interpretazione è
drammaticamente coinvolgente. Le loro facce, estremamente
espressive e sofferenti. Il film è uno splendido parto
rigenerante quanto due ore di mestruazioni. Speriamo
favorisca un ciclo della stessa intensità.
Andrea Monti - Film Up
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