Intrappolati da pareti, porte e piante di un appartamento
della Germania degli anni 70, filmati attraverso vetri di
finestra come pesci in un acquario, quattro personaggi si
seducono, si feriscono, si specchiano l’uno con l’altro, per
mostrarci il deteriorarsi dell’amore nella quotidianità
della vita di coppia. “Gocce d’acqua su pietre roventi”, dal
9 novembre nelle sale italiane, è una commedia, dichiara il
regista Francois Ozon, benchè a prima vista ci sia ben poco
da ridere.
«L’amore non esiste, esiste solo la possibilità dell’amore»,
diceva Reiner Werner Fassbinder, autore della piéce teatrale
da cui il film è tratto. Nei rapporti di coppia, per
Fassbinder, si consumano continue lotte per imporre il
proprio potere sull’altro. La trivialità della vita di ogni
giorno, i litigi su dettagli insignificanti mettono a nudo
la vera natura delle relazioni sentimentali. Il giovane
Franz è colto e intelligente, ma perde la sua identità per
amore del cinquantenne Léopold, il quale non fa che
inseguire le novità, stancandosi non appena certo del suo
dominio sull’altro. Véra e Anna, rispettive ex fidanzate di
Léopold e Franz, completano e complicano lo schema. Véra
rappresenta ciò che Franz potrebbe diventare sotto
l’influenza di Léopold, mentre su Anna il giovane cerca di
riprodurre ciò che lui stesso ha appreso e subíto da parte
di Léopold, il “diritto del più forte”.
«Ma non è la sua vera identità che si esprime –osserva Ozon-,
non ci crede veramente e non funziona». Francois Ozon
racconta che quando vide l’opera di Fassbinder a teatro (una
produzione parigina in francese alcuni anni fa), fu sorpreso
dal constatare di essere l’unico a ridere in sala. «Si tende
spesso a prendere molto seriamente il lavoro di Fassbinder
dal momento che è profondamente pessimista. Mi sembra
tuttavia che la rappresentazione dei lati oscuri produca una
vitalità, una forza e un distanziamento tali da far ridere
lo spettatore. Per questo ho puntato su certe situazioni
comiche, specialmente accanto alla crudeltà naturale di
Léopold verso Franz e Véra, creando momenti di danza in cui
i personaggi sfuggono ai dialoghi e lasciano i propri corpi
esprimersi in modo grottesco e commuovente». Il film di Ozon
accentua la teatralità dell’originale.
Lo sguardo della macchina da presa predilige la frontalità
nelle inquadrature dei personaggi e li colloca in uno spazio
privato, escludendo gli esterni. «Ispirandosi a Sternberg e
Sink, Fassbinder diceva che solo l’artificio permette
l’intrusione della verità dei personaggi – afferma Ozon -.
Ho cercato di seguire questo principio nella mia
mise-en-scène: far entrare lo spettatore nella logica del
film e permettergli così di accostarsi meglio ai
personaggi». Il fine di Ozon è di collocare lo sguardo a
distanza dal personaggio, senza però escludere una certa
prossimità emotiva. Con i suoi tre lungometraggi e numerosi
corti, che affrontano temi come incesto, sadomasochismo,
voyeurismo e violenza, Francois Ozon si è fatto la
reputazione di grande provocatore del nuovo cinema francese.
Rispettosamente, precisa che “Gocce d’acqua su pietre
roventi” non sarebbe nato senza Fassbinder. «Da molto tempo
volevo fare un film su una coppia, ma quando scrivevo sulla
base delle mie esperienze, il risultato era patetico». La
coppia principale del film è composta da due uomini, ma
l’omosessualità non è mai vista come un problema. Il
pigmalione Léopold e il giovane Franz, sedotto e innamorato,
sono una coppia particolare, dalla cui vicenda il testo di
Fassbinder trae spunto per proporre una visione universale
della vita a due. «Fassbinder diceva spesso che non ci sono
esistenze marginali – afferma Ozon -. Sosteneva che più la
gente vive al di fuori delle norme sociali, più fa propri
gli schemi dominanti delle relazioni umane. Questo rifiuto
della nozione di marginalità non poteva essere formulato che
da un uomo degli anni 70 particolarmente lucido sulle
ambiguità della liberazione sessuale».
Viviana Mazza - La Stampa 31/10/01